La centrale biogas di Granarolo comprata dalla Snam

 


A Granarolo, frazione di Faenza, in via Fabbra, sorge dal 2012 un impianto a biogas. 

Biogas ottenuto da digestione anaerobica di mais, coltura tra le più esigenti di acqua e pesticidi. Il biogas viene poi bruciato per ottenere energia. L’attuale potenzialità è pari a 999 KW (quindi circa 1 MW).

In pratica si coltiva per bruciare: un impianto di biogas da 1 Megawatt necessita di circa 400 ettari di terreno per coltivare mais e sorgo come “materia prima” combustibile. 


Come sottolinea Isde (associazione Medici per Ambiente), la produzione di biogas non è scevra da ulteriori problemi ambientali.

Oltre all’occupazione di suolo con coltivazioni non alimentari, il biogas contribuisce ad inquinare l’aria (visto che il gas cmq viene bruciato). Nella combustione di biogas, così come dalla combustione di gas, si liberano nell'aria polveri sottili e altri inquinanti, comprese le diossine, che si formano in tracce in ogni processo di combustione (a 200-450°c) e in presenza di cloro e sostanze organiche (carbonio, ossigeno, idrogeno). Ed il biogas contiene sino a 5mg/Nm3 di cloro. 

Il digestato che si forma, inoltre, ha bisogno di trattamento aerobico prima di essere sparso nel terreno, rischiando altrimenti di essere troppo carico di azoto. 

Nel 2012 a Granarolo un comitato si oppose all'installazione dell'impianto ma infine la "realpolitik" piegò ogni resistenza e rassicurò i residenti. 

La cosa scandalosa è che fu autorizzato a meno di 50 metri dal Cer (Canale Emiliano Romagnolo). Leggendo i verbali della conferenza dei servizi del 20/09/2011, si scoprono dettagli poco rassicuranti: i tecnici del Comune di Faenza fecero notare che l'impianto ricadeva all'interno della fascia di rispetto del Canale Emiliano Romagnolo e che la distanza delle opere doveva essere almeno pari a 50 mt dal canale. Gli stessi tecnici del Comune però precisarono subito che tale limite poteva essere risolto dimostrando "oggettive limitazioni tecniche". "A tal riguardo gli stessi tecnici hanno illustrato le motivazioni tecniche e di sicurezza che rendono tale spostamento difficilmente realizzabile”. 



Insomma, fatta la legge, trovato l’inganno, come sempre in Italia.

Ma non è la sola “deroga” concessa.

La stradina di accesso all’impianto (via Fabbra), usata anche dai residenti, è larga 2,75 metri ed è stata autorizzata dall’Amministrazione al doppio senso di circolazione per autocarri. E' tutta costeggiata da fossati, ma non potrebbe essere ampliata poiché vincolata, in quanto è il confine della centuriazione romana. Nonostante questo, il comune permise in alcuni punti il tombamento del fossato, per realizzare alcune piazzole di sosta, (che comunque risultano del tutto inadeguati a garantire la sicurezza dei vecoli). Quotidianamente sono così a rischio auto, bici e pedoni, che al transito degli autocarri, (se non raggiungono in tempo la piazzola) non sanno dove "buttarsi", se non nel terreno che degrada verso il fosso.



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L’impianto della Società Agrimetano scarl era di proprietà della Apros (la cooperativa agricola associata a Legacoop Romagna che opera nei settori sementiero e sempre più votata all'"agroenergia") e della società agricola Ricci, un contoterzista che ha l'azienda lì vicino. A quel tempo il presidente di Agrimetano scarl era Babini Italino (anche a capo dell'Apros fino al 2021).

Dal 2023 Agrimetano Scarl diventa Agrimetano Srl con socio unico la società Bioenerys Agri, con sede a Pordenone, società al 100% Snam. Presidente è ora Ortu Marco, milanese. Nel suo profilo Linkedin così rappresenta la sua posizione professionale: "Responsabile del business del biogas e biometano, con attualmente n.40 impianti operativi, 270 dipendenti, 150M€ di fatturato e un piano di sviluppo per raggiungere 80MW di capacità installata investendo circa 400M€".

Nel 2024 Arpae con delibera 11 aprile 2024 autorizza la voltura alla società “Bys società agricola impianti” che fa parte di Bioenerys. La Snam si affida al revisore legale Deloitte, un pool di legali molto potenti.

Ma perché un gigante come la Snam comprerebbe un impianto da 999 KW in un buco isolato come Granarolo?

Perché molto probabilmente vuole ampliarlo e passare al biometano, a breve infatti scadranno gli incentivi per la produzione di elettricità mediante biogas, mentre ci sono 1,73 miliardi di euro per la conversione degli impianti a biogas a biometano o costruzione di nuovi. Sono fondi del Pnrr da utilizzare entro giugno 2026. 

Così la Snam, gigante delle infrastrutture fossili, oltre a piazzare il rigassificatore a Ravenna e sbancare gli Appennini per far passare il mega gasdotto Linea Adriatica, si sta lanciando anche sull’affare del biometano per accaparrarsi fondi e incentivi pubblici. 

Qui a Granarolo l'ampliamento è quasi assicurato. Ma con quale ricetta ancora non si sa (mais, rifiuti organici, fanghi, reflui zootecnici o tutto quanto).

Ricordiamo sempre che Faenza è già circondata da 5 grandi centrali a biomassa, alla quale si aggiunge questo impianto a Granarolo e se venisse ampliato sarebbe un ulteriore carico di inquinamento. Come ci ricorda Gianni Tamino, biologo Isde, “il biometano si ottiene dalla raffinazione del biogas, togliendo vapore acqueo, anidride carbonica, ammoniaca, acido solfidrico, che contribuiscono all’aumento delle polveri sottili in un territorio già duramente provato dall’inquinamento. Questo processo consuma energia, riducendo il bilancio energetico, e soprattutto libera inquinanti e CO2, gas ad effetto serra”.

Con la combustione del biometano (da qualche parte viene bruciato) vengono prodotti COT, che “comprendono tutti gli inquinanti derivanti dalla incompleta combustione del metano (principalmente formaldeide, idrocarburi, benzene)”.

Senza dimenticare che siamo in zona ad alto rischio idraulico: l’impianto si trova in un campo chiuso tra la massicciata della ferrovia a ovest e il canale Cer a nord (a meno di 50 metri) e il fiume Lamone a est. Pertanto tutta l’acqua che dovesse esondare dall’argine Sinistro del Lamone, nel tratto compreso tra Faenza e il canale Emiliano Romagnolo (via Accarisi) nonché tutta l’acqua che dovesse esondare dai fossi CantrighettoV e Cantrighella di Merlaschio, confluirebbe nell’area dell’impianto.

L'area si trova in una zona depressa ed è già stata in parte raggiunta dalle acque del Lamone a maggio 2023.

Ci auguriamo quindi che il Comune, dopo aver concesso nel 2011 un impianto di questo tipo a meno di 50 metri dal canale, non voglia permettere ora, dopo 4 alluvioni disastrose, un suo ampliamento. Errare è umano ma perseverare ...

Un impianto di produzione di biometano sebbene considerato come attività agricola, non è un orto, è di fatto un impianto industriale con tanto di consumo di suolo ed emissioni inquinanti. 

E ancora. Come si farà a trasportare il biometano visto che la rete Snam risulta essere distante dall’impianto e certamente complicata da raggiungere? Sarà raffreddato e compresso sotto forma di GNL e trasportato su bilici? Il tutto lungo stradine minuscole e già dissestate? Ricordiamo che il metano e soprattutto il GNL hanno un enorme potenziale esplosivo. (Biometano e bioGNL hanno lo stesso potenziale esplosivo di metano e Gnl).

Non solo. Da dove prenderà le acque che servono ai processi di raffinazione? Dal canale, togliendolo alle coltivazioni o dal sottosuolo, aumentando così la subsidenza, la depressione dell'area e il rischio di allagamento?







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