Centrali a biomassa: davvero green?


Foto gentilmente concessa da Paolo Morelli


Zona nord di Faenza, zona industriale. 
Anche detto, il "distretto della puzza". 
I residenti convivono con fumi, miasmi e polveri derivanti dai forni delle ceramiche, dalle grandi centrali a biomassa, unite all'intensa motorizzazione e al traffico di camion. Ma le istituzioni rassicurano e lodano il "distretto dell'energia verde". 
Cosa si nasconde sotto il greenwashing istituzionale e aziendale?

Puzza e non solo 

Nel 2017 fu siglato un protocollo di intesa tra Comune, e alcune aziende (Tampieri, Caviro, Enomondo), che allegarono un loro piano di investimenti per ridurre gli impatti odorigeni. Il gruppo Tampieri precisava che era da intendersi solo come dichiarazione di intenti, non necessariamente realizzabili. Ma di effettivi miglioramenti, potremmo dire, non si sentì neppure l'odore.

Nel 2019, di fronte alle proteste per la “puzza” insopportabile, e al monitoraggio degli odori, tramite questionario, da parte di un nutrito gruppo cittadini sentinella, la Regione disse che aveva acquistato diverse strumentazioni per misurare le emissioni odorigene ed erano iniziati i corsi per istruire il personale ARPAE locale sull’uso.

Ma fu un ennesimo nulla di fatto, anche perché nel frattempo (agosto 2019) era arrivato il devastante incendio Lotras a concentrare tutte le attenzioni e sparigliare le carte, aumentando sensibilmente l'inquinamento del luogo. E così la puzza continuava indisturbata, seguendo le folate di vento. 

Dal 2020 i cittadini iniziarono a chiedere alla nuova Giunta Comunale  di posizionare una nuova centralina ARPAE anche nel distretto industriale, ricevendo risposta che bastava quella del Parco Bertozzi nella zona sud, a circa 3 km da lì. Una centralina che serve a monitorare l’aria da San Martino in Gattara sino a Russi, ben 45Km di territorio con tipologie molto differenti di clima meteorologico.  Le centraline private dei cittadini del comitato Faenza Eco-logica, (una in via Granarolo, altezza casello autostradale, un’altra in via Corgin) dimostrano da tempo continui sforamenti di PM10 e PM 2,5.

Il PM10 è chiamato anche frazione toracica in quanto, passando per il naso, è in grado di raggiungere la gola e la trachea (localizzate nel primo tratto dell’apparato respiratorio). Le particelle più piccole (con diametro inferiore a 2,5 micron) chiamate PM2,5 o frazione respirabile, possono invece arrivare ancora più in profondità nei polmoni. Il PM10 causa diversi effetti sulla salute tra cui molti disturbi collegati all'apparato respiratorio. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato l’inquinamento dell’aria (di cui il particolato atmosferico è un indicatore) nel Gruppo 1, vale a dire tra le sostanze cancerogene per l’uomo. 

Il valore limite giornaliero di PM10 è per legge 50 μg/m3, non dovrebbe essere superato per oltre 35 giorni l'anno. Nella prima centralina in zona nord (altezza casello autostradale, via Granarolo) la nostra centralina evidenzia un superamento dei limiti di PM10 giornaliero avvenuto 57 giorni nell'ultimo anno (quindi non ancora finito).  Uno sforamento del limite giornaliero di PM10 di 45 giorni in un anno anche nella seconda centralina sempre in zona nord industriale. Nelle sere autunnali e invernali, anche a notte fonda, si raggiungono valori impressionanti, con picchi di PM 10 a  634 ug/M3 e PM 2,5 a livello di 211. Qui il nostro post di denuncia.

Rilevazione relativa al 10 novembre 2022, centralina in via Granarolo, Faenza, vicino ponte sopra autostrada


Impatti sanitari e ambientali delle centrali a biomassa

Anche quest’anno a Faenza sono partiti gli #energydays, giornate patrocinate dall’Unione Comuni Romagna Faentina in partnership con Tampieri Group e Gruppo Caviro, dedicate alla (finta) ecologia e alla (vera) pubblicità di queste aziende, con incontri nelle scuole, convegni, mostre, laboratori. 

I bambini, nella scuola pubblica, sono così costretti a sorbirsi la pubblicità di aziende private, spacciate come ecologiche.   https://www.romagnafaentina.it/Notizie-ed-eventi/Progetti-e-iniziative/Energy-Days-2022

Forse nelle scuole pubbliche, dovrebbero invece spiegare come funzionano le centrali a biomassa e il loro impatto sanitario e ambientale. ISDE Italia da tempo denuncia la pericolosità per salute umane e per l’ambiente delle centrali a biomassa, chiedendo di interrompere i contributi pubblici previsti dal DM 6 luglio 2012 “Nuovi incentivi alle rinnovabili” che considera l’energia da combustione di biomasse come energia da fonti rinnovabili. 

 “L’Isde ritiene che la produzione di energia a partire dalla combustione delle biomasse non rappresenti una valida alternativa ai combustibili fossili e che sia parimenti insostenibile quando si esca dalla semplice logica del riutilizzo, all’interno di piccole aziende agricole, di scarti e residui di provenienza aziendale o comunque di un’area molto circoscritta. L’Isde giudica il regime di incentivazione dell’energia da biomasse fortemente distorcente in quanto spinge il mercato verso una corsa alla realizzazione di impianti di grossa taglia assolutamente insostenibili sotto il profilo ambientale e pericolosi per la salute."  Il professor Gianni Tamino ha chiarito che sono accettabili solo impianti di piccole dimensioni e ha specificato che s’intendono piccoli fino a 10kw. 

Una centrale a biomassa è accesa tutto l’anno, tutti i giorni, 24 ore al giorno. Di conseguenza le quantità di materiale necessario sono estremamente elevate. L’enorme inquinamento derivante dalla combustione di una così elevata quantità di materiale non è limitato all’entità dei fumi, delle ceneri, delle microparticelle emesse nell’aria, ma deve tener conto del traffico di camion necessario per il continuo rifornimento della biomassa da bruciare. 



Sempre secondo l’Isde, la fermentazione anaerobica favorisce la produzione di batteri sporigeni anaerobi come il clostridium botulinum che, attraverso il digestato sparso sui campi come concime può contaminare i campi. Esiste inoltre tutta una casistica di incidenti (esplosioni, fuoriuscita di predigestato dalle vasche di fermentazione, ecc.) che rappresentano pericoli anche nel breve termine. Link incidenti http://sgonfiailbiogas.blogspot.it/search?q=incidenti

Riportiamo dal vademecum Isde: “A temperature elevate (fino a 800 °C) gli impianti liberano nei fumi molte sostanze inorganiche che volatilizzano per poi ricombinarsi sotto forma di polveri sottili (PM10) e sottilissime (PM2,5 e PM0,1 o nanoparticelle). Le nanoparticelle sono in grado di penetrare all’interno delle cellule ed alterarne il DNA, con conseguente rischio di sviluppare gravi patologie quali tumori, malattie cardiovascolari, leucemie e malformazioni fetali. Circa l’80% delle polveri emesse sarebbero polveri ultrafini (< PM2,5), con conseguente elevato rischio sanitario non calcolabile. Tutto il mondo scientifico indipendente che non ha interessi diretti nella promozione di queste centrali afferma da tempo che non è possibile filtrare in alcun modo le polveri al di sotto del PM2,5 e nessun istituto scientifico e di controllo riconosciuto (ISPRA, ARPA, CNR, ecc.) ha potuto mai smentire tale affermazione. Tutte le sostanze contenute nei fumi si diffondono per chilometri ed andrebbero a spargersi nei terreni contaminando anche le colture”.

La stessa combustione del “biogas” è fonte di emissioni tossiche. Il biogas è più inquinante del metano perché contiene metano soltanto al 55-60%. Le quantità annue di inquinanti immessi in atmosfera sono rilevanti: tonnellate di sostanze pericolose come ossidi d’azoto e zolfo inquinano ambiente e popolazione, e producono piogge acide. In estate la situazione peggiora e abbiamo in particolare l’ozono, che è un inquinante secondario derivato da emissione di ossidi d’azoto). Sulla base del biogas bruciato (circa 8,5 milioni di metri cubi) e del contenuto medio in metano (tra 50 e 65 %), si può affermare con una certa approssimazione, che un cogeneratore di quasi 1 MW, brucerà un quantitativo di metano equivalente a quello di circa 1.500 case di oltre 100 metri quadrati di superficie (consumo annuo di circa 1.600 metri cubi), ma con emissioni concentrate in un solo punto. 

Non va dimenticato, peraltro, che i materiali vegetali che vengono introdotti (da bruciare o da fermentare) sono trattati con pesticidi. Nelle centrali a biomassa si può bruciare anche la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), equiparata alle biomasse con decreto ministeriale. Il cui costo di smaltimento è già una prima fonte di redditività che l’imprenditore può acquisire tramite questa impiantistica.

A Faenza ci sono 5 centrali a biomassa/inceneritori:  

VillaPana è un impianto di cogenerazione a biomassa per produrre energia termica ed elettrica e centrale a biomassa, oltre a produzione di alcol, acido tartarico e cremor tartaro dagli scarti di uva. (12.500 Mwh) 

Dister Energia s.p.a. produce energia termica ed elettrica con 3 motori alimentati ad olio vegetale (di palma), e una caldaia dove si brucia biomassa solida proveniente da colture dedicate agricole e forestali, residui di campo e di attività di lavorazione di prodotti agroalimentari. Si aggiunge un impianto di depurazione acque, anche per conto terzi. I fanghi sono usati per fare biogas. (16 Mw)

Caviro gestisce impianti per la lavorazione dei prodotti e sottoprodotti della vinificazione, un impianto di depurazione di acque e rifiuti liquidi, produzione e combustione di biogas.

Enomondo , è una compartecipata tra Caviro ed  Herambiente, brucia biomasse e rifiuti non riciclabili (CDR, CSS, sovvalli), produce compost anche a partire dai fanghi di depurazione.

Tampieri, multinazionale che coltiva terreni anche nell' Europa dell'est, produce e raffina oli di semi, depura acque e brucia biomassa.

(Secondo il sito regionale, a Faenza gli impianti a rischio di incidenti rilevanti a Faenza sono giustappunto le centrali di Tampieri, Caviro, Villapana)

Qui di seguito, ci occuperemo dei più grandi "colossi" faentini: Caviro, Tampieri ed Enomondo. 

Il colosso Tampieri

Le sue attività si concentrano sulla depurazione delle acque reflue (Faenza Depurazioni), produzione e raffinazione di olio di semi (Tampieri Vegetable Oil), combustione di biomasse per ricavarne energia (Tampieri Green Energie s.r.l). 

Recentemente i canali social del gruppo (Tampieri channel) hanno "allietato" la cittadinanza con 5 puntate realizzate in collaborazione con l’attore Roberto Mercadini (#farecircolare). Sono interessanti per riflettere sull'arte del greenwashing e su come viene distorta l’idea di economia circolare.

La prima puntata riguarda l’estrazione e la raffinazione degli oli dai semi (uva o girasole): con la normale spremitura meccanica si recupera solo la metà dell’olio, quindi per estrarre il resto si usa l’ingegno e… l’esano, dentro al quale si lavano i semi. Che roba è l’esano? 

Un componente della benzina, estremamente infiammabile, irritante, nocivo, pericoloso per l'ambiente e tossico per il sistema riproduttivo. Una sostanza poco rassicurante da usare per la lavorazione di un olio commestibile, ma (purtroppo) permesso dalla legge. L’olio viene poi separato dall’esano tramite distillazione, (l’esano evapora), poi seguono altre lavorazioni per togliere residui di pesticidi, raffinare, deodorare, tutte ad alta pressione e alta temperatura. 

Solventi, alte temperature, lunghe lavorazioni, raffinazione, privano gli oli di semi da vitamine e minerali, inoltre per stabilizzare questi oli, in genere vengono aggiunti antiossidanti sintetici, antischiuma. In pratica quel che resta è un olio trasparente, con tracce di benzina (seppur meno di 1 mg su 1 kg), e altre sostanze chimiche, senza alcuna vitamina. L’olio di semi verrà poi portato alle industrie alimentari, per farne prodotti con ulteriori lavorazioni industriali e altri additivi chimici, per finire nei reparti dei supermercati, e infine nelle pance dei bambini. 

Nella seconda puntata si parla di ciò che avviene ai semi spremuti, alle potature, ai rami, e ad altri scarti: diventano “farina” combustibile, in pratica biomassa da bruciare per ottenere energia. Anche in questo caso si potrebbe obiettare che c’è poco di circolare: tutta quella biomassa contiene carbonio, che una volta bruciato viene sprigionato in atmosfera. Triturata e compostata, tornerebbe invece alla terra, lasciando il carbonio laddove deve tornare. Come dice Isde "per smaltire le biomasse agricole si deve promuovere il compostaggio aerobico domiciliare, di quartiere e industriale, specie in territori prettamente agricoli. Il compostaggio aerobico demolisce la sostanza organica come residui di potatura, scarti di cucina, rifiuti del giardinaggio (foglie ed erba sfalciata), in modo naturale e non produce gas combustibili".

La terza puntata riguarda le acque: una volta depurata, l’acqua viene riutilizzata per raffreddare e lavare, e in parte reimmessa nei canali (come il Fosso Vetro), per irrigare i campi. Peccato che da anni, colpa anche degli scarichi degli altri impianti industriali, il Fosso Vetro è sotto accusa dai coltivatori che lamentano problemi ai raccolti. Il 9 agosto 2022, l'associazione di categoria #Coldiretti ha di nuovo denunciato l’annoso problema d'inquinamento delle acque bianche, che secca il raccolto. 

Nella quinta e ultima puntata, Mercadini fa il riassunto di tutto e per rimarcare la circolarità spiega: “le ceneri della combustione vengono riutilizzate in agricoltura come fertilizzanti e in edilizia”.  

Verissimo, ma per completezza, bisognerebbe raccontare che nelle ceneri normalmente ci sono sostanze considerate pericolose per l’uomo e l’ambiente, come metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e clorobenzeni. Mancano invece carbonio (C) e azoto (N), fondamentali per la fertilità del terreno, perché volatilizzano durante la combustione (e vanno in atmosfera, aggravando il fenomeno del riscaldamento globale). L’impiego della cenere da biomassa come fertilizzante, (permesso dalla legge, a certe condizioni e limiti, ma con pochi controlli), rischia di aggravare la contaminazione dei suoli, senza aumentarne la fertilità.

E' bene anche riportare due fatti poco noti. Nel 2012 nelle campagne vicino Brindisi, come riporta la stampa dell’epoca, "furono rinvenuti rifiuti speciali e pericolosi interrati. Si trattava di ceneri pesanti e leggere derivanti dalla combustione di carbone e biomasse, provenienti da impianti di produzione di energia elettrica, inceneritori, rifiuti derivanti da operazioni di demolizione di opere edili e impianti industriali". Sette le ditte coinvolte, tra le quali anche dipendenti della Tampieri, che andarono a processo ma poi finirono in prescrizione. 

Il secondo fatto risale al 2019, quando Arpae notificò una diffida (pratica 3299/2019 del 22 gennaio 2019) alla Tampieri Energie S.r.l, diffidando l'azienda da “effettuare l’invio ad attività di recupero R3 (Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche, comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche) delle ceneri leggere CER 100117 (derivanti da coincenerimento di sostanze non pericolose) per aver superato il valore-limite di Cromoesavalente previsto dalla normativa in materia di fertilizzanti e dalla autorizzazione della Società Fomet S.p.A. cui era destinata”. La Tampieri Energie reagì con un ricorso al TAR (R.G. n. 302/2019) e fece richiesta di sospensione immediata degli effetti della diffida, ma dopo pochi mesi rinunciò alla sospensiva e da allora del caso non ci sono tracce. Nessun giornale ne parlò nonostante fosse una notizia importante: ceneri con tenore sopra i limiti di cromo esavalente, considerate dallo IARC come cancerogena per l’uomo (classe I), erano finite per mesi e anni in compost definito “naturale” e usato per concimare l’orto. Un silenzio tombale coprì tutta la storia. Nessuna denuncia, nessun articolo. E ad oggi qual è la situazione delle ceneri avviate a fertilizzante?

Landgrabbing in salsa romagnola

Nel 2011 nella riserva di Ndiaël il governo senegalese diede in concessione agli investitori 20 mila ettari di foresta, la Tampieri Financial Group entrò nell’investimento come socio di maggioranza della Senhuile SA insieme alla locale azienda Senéthanol. In una manifestazione delle popolazioni locali, contrarie al progetto, (37 villaggi erano a rischio), due manifestanti furono uccisi. Nonostante le proteste, il progetto andò avanti lo stesso, per la produzione di girasole, arachidi, patate dolci e altri semi (destinati inizialmente a biocarburante poi al mercato italiano). Tre bambini dei villaggi morirono cadendo nei canali costruiti ad hoc. 

In quegli anni ci fu una grande mobilitazione di ONG e di opinione pubblica italiana, petizioni che raggiunsero decine di migliaia di firme, grazie anche al servizio di Report (Rai3). 

Nel 2016 la procura contestò al colosso faentino ’Tampieri Financial Group spa un riciclaggio di denaro in relazione ad investimenti fatti in Senegal. Si giunse al decreto di sequestro, poi annullato nel 2021 per mancanza di prove. https://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna/cronaca/inchiesta-tampieri-sequestro-annullato-1.6640232/amp

Ad oggi, come sottolinea l'associazione senegalese endapronat.org, "solo la metà dei 20.000 ettari occupati a Ndiael dalla società Senhuile-Senethanol, del gruppo italiano Tampieri Financial, sono state restituite alla popolazione nonostante tutte le attività aziendali fossero già sospese dal 2017 in tale spazio". Un'avventura, che ha lasciato dietro di sé una scia di deforestazione, inquinamento, disgrazia e povertà per la popolazione locale.  https://www.endapronat.org/la-resistance-paysanne-a-laccaparement-des-terres-et-le-processus-de-la-reforme-fonciere-au-senegal/

I partner attuali sono la Romania e l’Ungheria. Come si legge dal sito: “Agf cereal Rumena e Tampieri Hungaria sono state create al fine di assicurare un flusso continuo di materie prime agli impianti produttivi di Faenza”. In Romania si stima che almeno il 10 per cento delle terre agricole appartenga a investitori extraeuropei e un altro 20-30 per cento sia nelle mani di investitori europei (per lo più danesi, tedeschi e italiani, database Land Matrix). 

“L’industria agroalimentare e le aziende agricole che decidono di sfruttare i propri terreni con coltivazioni per usi energetici e simili” sono i partner di Tampieri in Italia e nel mondo. Coltivare per bruciare. Sovrapprodurre per bruciare gli scarti. Produzioni intensive, con tanto di fitofarmaci che avvelenano terre e corsi d'acqua, e i cui residui restano nei semi. 

Montagne di semi, che attirano decine di migliaia uccelli, alterando l'equilibrio della catena alimentare e compromettendo la loro stessa salute. Nel gennaio 2011 migliaia di tortore che si erano cibate di resti di semi di girasole presso i piazzali di stoccaggio dello stabilimento Tampieri, morirono una dopo l'altra. Una strage impressionante, che colpì l'opinione pubblica nazionale. Le autorità tranquillizzarono dicendo che si era trattata di indigestione di semi di girasole, e di un virus che aveva debilitato i pennuti. 



Il colosso Caviro

Caviro è una grande cooperativa vinicola che produce vino (il più famoso è il Tavernello), prendendo uva da molte regioni italiane. 

Caviro Extra (ex Caviro Distillerie) produce dagli scarti della lavorazione del vino alcoli e distillati (tra cui acquavite, rum, ecc.), acido tartarico, ma anche "biocarburanti" come bioetanolo e biometano, oltre a depurare le acque reflue. 

Ricordiamo, così per inciso, senza voler fare la morale a nessuno, che purtroppo il vino a basso costo e i super alcolici, benché facciano parte della tradizione, mietono vittime in termini di morti e dipendenza, paragonabili (se non maggiori)  alle vittime del fumo, delle droghe sintetiche e della cocaina ("Indagine sull'Alcolismo in Italia. Tre percorsi di ricerca"). Nel 2020 solo in Italia sono morte 40 mila morti all’anno correlate all’alcol e milioni di persone dipendenti o a rischio di dipendenza. 

Dal punto di vista ambientale dietro le massicce monocolture di vigne ci sono grandi quantità di pesticidi che riempiono le campagne, tolgono spazio alla biodiversità e inquinano le falde. Come in Veneto e in particolare in Valpolicella, dove la Caviro ha inaugurato una nuova cantina, in un territorio già abbondantemente colonizzato dalle monocolture delle viti.  

Come sottolinea l'Atlante per i conflitti ambientali, "ad oggi, secondo varie stime, i pesticidi più pericolosi verrebbero irrorati sul 60/70% dei vigneti totali. Nel caso specifico della Valpolicella (...) i medici di ISDE Verona e la letteratura scientifica sul tema hanno rivelato uno scenario preoccupante per gli abitanti della zona. Accanto alla pericolosità delle singole sostanze contenute nei fitofarmaci, ulteriore e più seria preoccupazione hanno destato le miscele tra questi, sempre più tossiche quando combinate tra loro. È il cosiddetto problema del multiresiduo, un “cocktail micidiale” ancora poco studiato. (...) Inquinamento del suolo e delle falde da un lato, e distruzione degli ecosistemi dall’altro, hanno comportato irreversibilmente una massiccia perdita della biodiversità locale. Conseguenza diretta dell’utilizzo dei prodotti fitosanitari nei vigneti è ad esempio la moria di api e altri insetti impollinatori che annualmente si verifica durante i trattamenti."



Biocarburanti green?

Nell’impianto di Caviro Extra si miscela bioetanolo con benzina creando un combustibile (E85) che ha ben poco di ecologico. Dannoso per la salute, poiché l’inquinamento atmosferico (in termini di polveri sottili, NOx e aromatici incombusti) è quasi uguale a quello prodotto dalla benzina, e controproducente per l’ambiente: non si azzera l’uso della benzina e del fossile, ma la sua diffusione, spacciata come “combustibile verde”, entra in competizione con le alternative più ecologiche come l’elettrico.

Il Biogas, prodotto dalla fermentazione anaerobica di materiali residui dell’industria agroalimentare, è costituito per la maggior parte da metano e per la restante da CO2 ed altri componenti minori. Viene poi bruciato per ricavarne energia elettrica e termica (vedasi sopra i pareri Isde sul biogas).

Il “biometano avanzato” è un derivato del biogas che è stato sottoposto a un processo di raffinazione e purificazione (denominato upgrade), per togliergli la CO2, che viene in parte recuperata, stoccata in grandi depositi, e venduta all’industria alimentare. Sembra tutto fantasticamente bello e rinnovabile, con tanto di certificazione. 

In realtà tutto poggia su una filiera agroalimentare insostenibile, che sovraproduce e crea tonnellate di inutili scarti. Il biogas e il biometano possono quindi esistere solo mantenendo la sovrapproduzione agricola e/o le coltivazioni dedicate. Come suggerisce inoltre il documento Isde “i digestori non riescono a neutralizzare completamente i batteri presenti, in particolare, come già detto, i clostridi che sono batteri termoresistenti (a questa famiglia appartengono i batteri che provocano botulismo e tetano). Nel processo anaerobico di produzione di biometano si creano nel digestore le stesse condizioni favorevoli allo sviluppo delle spore. Questi batteri sono presenti nel digestato finale, cioè nello scarto dei digestori che viene successivamente spacciato come compost da smaltire nei terreni agricoli. E i terreni sani diventano a rischio contaminazione.” 

Da sottolineare inoltre che possono esserci perdite in atmosfera (e biogas e biometano sono potenti gas serra), e una volta bruciati emettono inquinanti e polveri sottili. Da notare la scheda relativa al grado di complessità dell’azienda, (pag 5-6 della sezione A dell’AIA di Caviro Extra) che sottolinea la presenza di emissioni convigliate con ben “8 inquinanti per 7 ore al giorno”, e la presenza di emissioni fuggitive. https://caviroextra.it/it/certificazioni/_certificati_autorizzazioni_sicurezza/Autorizzazione%20Integrata%20Ambientale%20Caviro%20Extra.PDF 

La Caviro Extra produce anche ammendante per agricoltura a partire dai fanghi della depurazione (ACF). I fanghi di depurazione concentrano generalmente varie sostanze inquinanti, e nel 2018 la normativa (cd decreto Genova) ha alzato di 20 volte la quantità di idrocarburi pesanti ammessi nei fanghi di depurazione (da 50 mg/kg a 1.000 mg/kg) da spargere sui terreni, scatenando la proteste di cittadini, associazioni e medici per l’ambiente. Non è rassicurante sapere che neppure i limiti di legge ci proteggono!

Altra “invenzione” ammantata di green della Caviro, è la plastica biodegradabile da fanghi di depurazione la “B-PLAS Demo”, non ancora in commercio, in fase di studio con l’Università di Bologna. Sembra una genialata perché è una bioplastica a buon costo, ma così facendo si incentiva la gente a usare il monouso anziché il lavabile, che è la vera frontiera della riduzione dei rifiuti. A leggere dal sito dovrebbe risultare totalmente compostabile, ma al di là dei possibili residui di idrocarburi, già adesso l’eccessiva quantità di oggetti e imballaggi in “bioplastica” nei rifiuti organici, crea problemi ai macchinari deputati al compostaggio e riduce la qualità del compost. 

Caviro si dice un’impresa a emissioni zero, che chiude il cerchio, ma le emissioni di navi e camion che vanno e vengono da una parte all’altra del mondo, esportando i prodotti, non sono né ecologiche né sostenibili ( a Ravenna c’è un deposito costiero presso il porto, attrezzato per carico e scarico di navi, vista le numerose spedizioni all’estero).

Nonostante la quantità di soldi spesi in pubblicità “green”, insomma, anche Caviro resta un’azienda legata ad un modello predatorio, impattante e lineare, basato sulla sovrapproduzione.


Enomondo: come bruciare e far finta di essere “green” 

Poi c’è Enomondo. Nata nel 2011 dalla joint venture tra Caviro Extra ed Herambiente, è la società che gestisce l’impianto di combustione di biomasse e rifiuti. Herambiente non è mai stata uno specchio di ecologia, spesso avversata dai comitati rifiuti zero proprio per questo suo evidente conflitto di interesse. Gestisce la raccolta differenziata ma al contempo gestisce anche gli inceneritori per la parte indifferenziata, inceneritori che devono sempre andare a carico pieno e abbisognano continuamente di rifiuti e combustibili. Enomondo, detto “impianto di recupero energetico R1” è in pratica un inceneritore che brucia vinaccia, legno (anche scarti di mobili), biomassa, fanghi da depurazione, rifiuti (CSS Combustibile Solido Secondario, come plastica, carta, fibre tessili, e CDR combustibile derivato dai rifiuti) e sovvalli da trattamento meccanico-biologico dei rifiuti provenienti da aziende terze (in pratica lo scarto dopo la vagliatura dei rifiuti). Inutile dire che questi inceneritori possono sussistere solo mantenendo alta la produzione di rifiuti non differenziati e quindi ostacolando una seria politica di riduzione dei rifiuti.

Nell’autorizzazione integrata ambientale di Enomondo (che scade nel 2031) si legge che la quantità di tale incenerimento è di 105.000 t/a di biomassa e rifiuti, più 9.000 t/a di biogas (prima bruciati dalla Caviro Extra). L'impatto sulla salute delle sostanze provocate dalla combustione di plastica e rifiuti, sono ampiamente denunciate dall'Isde. Gli effetti emissivi sono quelli tipici di un processo di combustione sia in termini di microinquinanti (tra cui Ipadiossinefurani e idrocarburi aromatici), macroinquinanti (tra cui NH3 e PM2,5), e particolato (Pm10), come rileva uno studio condotto dall’Ispra, soprattutto nella sua frazione fine.

Qui un recente articolo del Salvagente sull'impatto degli inceneritori: https://ilsalvagente.it/2022/11/11/qual-e-l-impatto-ambientale-degli-inceneritori/ "L’emissione di carbonio dell’incenerimento è tra i 650 e gli 800 grammi di anidride carbonica fossile per ogni kWh prodotto. In considerazione del fatto che le caratteristiche peculiari di un inceneritore sono la combustione, con conseguente rilascio in atmosfera di inquinanti sottilissimi e dannosi alla salute, e la produzione di ceneri di scarto che, rappresentano in peso il 30% del rifiuto in ingresso bruciato, quel che rimane sono dati preoccupanti: al termine del processo di incenerimento, i rifiuti in entrata vengono eliminati solo per il 70% del loro volume, creando quindi un ulteriore problema, quello dello smaltimento delle ceneri stesse."

Le ceneri, ricche di diossine e metalli pesanti, finiscono riutilizzate in cementifici o in discarica, con ulteriori ricadute sulla salute della popolazione in generale

Tutto molto circolare ed ecologico, o no?



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